Dopo secoli di osservazione è stata dimostrata l’esistenza di una connessione neurale tra sistemi emotivi e sistemi cognitivi.

Le emozioni hanno un ruolo molto importante nella qualità dell’apprendimento degli alunni. Il migliore insegnante, colui che ottiene migliore apprendimento dai suoi allievi, è quello che trasmette maggiore allegria.

Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo presso l’Università degli Studi di Padova ed esperta di psicologia dell’apprendimento, dichiara: «Dobbiamo andare verso un “apprendimento caldo”. Se si vuole che i bambini imparino ottenendo il meglio da sé, è importante ritornare a insegnare con il sorriso». «Le emozioni accompagnano ogni esperienza di apprendimento. Ed è a scuola che si vivono le esperienze più importanti della crescita e con le figure più significative: gli insegnati e i compagni. Se noi impariamo con paura, anziché con serenità, tutte le volte che riprendiamo dalla nostra memoria quello che abbiamo appreso riportiamo anche le emozioni con cui abbiamo appreso, e quindi la paura. Dobbiamo spingerci verso un’alleanza educativa in cui l’insegnante non è un giudice, ma una persona alleata anche nell’errore».

Ed è così che, in occasione dell’undicesima edizione del Convegno Erickson “La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale” la professoressa Lucangeli parlerà del ruolo delle emozioni nell’apprendimento.

Come più volte sottolineato dalla Professoressa, l’intelligenza funziona al meglio quando si è felici. Spiega quindi che l’insegnante ha un compito importante e non facile, egli non deve far ridere, ma essere mediatore di benessere nell’apprendimento di cose complesse. Deve cercare di esprimere emozioni calde, cosiddette “warm cognitions”.

Ecco le cinque domande poste a Daniela Lucangeli:

Come si possono descrivere le emozioni?Sono stati mentali e fisiologici che agiscono e condizionano le persone. Sono associati a modificazioni psicofisiologiche per stimoli interni – battito cardiaco, salivazione, temperatura, rossore – ed esterni – pensieri, rumori o altro che generano paura o ansia e possono venire perché́ sono caratteristiche dell’indole delle persone ma possono anche essere state apprese. Quindi fanno parte della memoria, come la lingua che si parla, come gli studi che si fanno a scuola. Il dolore ad esempio nasce per avvertirci di un fattore di rischio, la sofferenza è invece la memoria del dolore sia a livello psichico che cellulare.

Ma queste emozioni come possono bloccarci?

Succede che, a un certo punto, anziché funzionare da circuito di aiuto, le emozioni vanno in cortocircuito disfunzionale. Cioè diventano elementi che non ci consentono di funzionare bene. Avviene quello che noi chiamiamo il cortocircuito emozionale: le emozioni generano una sofferenza tale per cui si entra in un rischio e ci si blocca. Così molti dei disturbi del comportamento e dell’umore nascono da emozioni che generano forte sofferenza non identificata bene dal contesto educativo.

Quali sono le emozioni peggiori?

A livello cognitivo la noia. A livello emotivo la colpa e la paura. Parto dalla più facile: la paura. Io provo paura quando il mio cervello percepisce un rischio. Se la paura è tremenda, la colpa ancor di più. Il meccanismo di colpa nasce perché chi giudica attribuisce a chi è giudicato l’unica responsabilità dell’errore. Educare attraverso l’emozione della colpa è molto rischioso perché manda sempre in cortocircuito e se io ricevo un atteggiamento in cui è sempre colpa mia, crescendo farò in modo che sia sempre colpa tua.

E quindi gli educatori cosa devono fare?

Una via di uscita ce la indica Malka Margalit dell’Accademia delle Scienze che ha trovato delle emozioni antagoniste: alla noia la gioia, l’allegria, il provare che piace fare una cosa. Alla paura si contrappone l’incoraggiamento. Cioè un atteggiamento che riconosce l’errore, ma propone una via d’uscita e ti incoraggia a uscire dall’errore e ad analizzare la situazione. Gli educatori, per aiutare i loro ragazzi, devono lavorare sulla sofferenza, perché alla memoria del dolore bisogna rispondere cambiando l’atteggiamento che lo ha determinato. Dobbiamo applicare quella che è l’alleanza educativa. Dobbiamo aiutare i nostri figli/alunni a togliere gli errori, a non giudicarli, a non determinare loro sofferenze e trovare insieme una strategia migliore per aiutarli. L’errore non è un giudizio, è una fatica che si toglie insieme a chi è lì per aiutarti: sappiamo tutti che il nemico è l’errore, non la maestra, non i genitori.

Riassumendo: se gli educatori e i genitori riuscissero a essere abbastanza allegri, gioiosi, sorridenti e incoraggianti determinerebbero una “guarigione”. Ma come si fa?

L’atteggiamento è di riconoscere nell’altro la sacralità̀ del suo mondo, così per un bambino: la sua personalità̀ va conosciuta, modificata, non sostituita. Va poi riacquistato il principio del diritto di sbagliare, che non è solo dei nostri figli, ma anche nostro. Imparare a chiedere scusa, un modo per aiutare a liberare dal senso di colpa, e a discernere nel modo giusto. Allearsi – genitori/figli e insegnati/allievi contro l’errore. Promuovere un ottimismo prospettico: noi siamo stati educati all’idea che è difficile modificare le cose che non vanno. Per modificare l’atteggiamento emotivo, non si può far a meno di reimparare le emozioni warm, calde, perché sono le chiavi di accesso all’anima, alla persona viva e profonda.

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